Eleanor Oliphant sta benissimo

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Sicuramente tra i libri più chiacchierati delle ultime settimane, “Eleanor Oliphant sta benissimo” della scozzese Gail Honeyman al suo esordio, si preannunciava già come non convenzionale proprio perché, ad esserlo, è la protagonista.

Eccomi qui. Capelli lunghi, lisci, castano chiaro, che mi scendono giù fino alla vita, pelle chiara, il volto un palinsesto di fuoco. Un naso troppo piccolo e occhi troppo grandi. Orecchie: niente di eccezionale. Altezza più o meno nella media, peso approssivativamente nella media. Aspiro alla medietà… Sono stata al centro di fin troppa attenzione in vita mia. Ignoratemi, passate oltre, non c’è nulla da vedere qui.

Dalla trama si evincono pochi ma determinanti dati su di lei: Eleanor ha trent’anni, lavora da nove nel solito ufficio dove svolge la stessa mansione, ogni settimana riceve una chiamata da sua madre che la inquieta – la chiama dal carcere – a casa ha solo la sua pianta Polly ad aspettarla ed i fine settimana sono scanditi dai bicchieri di vodka liscia: Eleanor Oliphant è sola, chiusa in una routine che si è costruita intorno a fatica per evitare di crollare.

Questi pochi dati sono bastati ad incuriosirmi – questo e l’assurda coincidenza sul nome della pianta, l’ho chiamata Polly anche io: a conti fatti, è stata una lettura piacevole e che sento di consigliare.

Sul mio cuore ci sono cicatrici altrettanto spesse e deturpanti di quelle che ho in viso. So che ci sono. Spero che resti un po’ di tessuto integro, una chiazza attraverso la quale l’amore possa penetrare e defluire. Lo spero.

Per inquadrare Eleanor ricorro a dei personaggi già noti: in primis Amélie Poulain, con le sue manie, il suo mondo che solo in alcuni momenti si allinea con la realtà, le sue stranezze; dall’altro la lucida razionalità ed i modi che spesso ricordano la sindrome di Asperger dello Sherlock nato dalla penna degli autori della BBC. Insomma, un connubio di idee strambe ai più, scarsa propensione alla socialità ma di fondo tanta, tanta solitudine. È evidente fin da subito che Eleanor ha dei problemi irrisolti con il suo ingombrante passato, che ogni mercoledì prende forma nella chiamata di sua madre. Una delle cose che maggiormente mi sono piaciute è stata la scelta narrativa di svelare lentamente tutti i retroscena della sua vita, in un mosaico di frasi e sensazioni che pian piano si accostano tra di loro e solo alla fine svelano il quadro completo – un quadro non piacevole, forte, violento.

La signorina Oliphant, come pretende di essere chiamata, non è un personaggio facile né per i lettori né sicuramente da gestire: interessante per scoprire la sua genesi è l’intervista all’autrice che c’è alla fine del volume. Eleanor è irritante, la reazione che i suoi interlocutori hanno la quasi totalità delle volte è di sgomento: è la reazione di chi non conosce il suo passato, la reazione che magari avrebbe avuto la maggior parte di noi. È questa la bellezza di “Eleanor Oliphant sta benissimo“, ci fa guardare dietro. Una parte di Eleanor l’abbiamo tutti dentro, quella parte che nascondiamo e che ci sforziamo di non mostrare per non apparire strani, deboli, vulnerabili. Questo Eleanor lo apprenderà pian piano, non senza ricadute e delusioni.

L’unica cosa che conta è rimanere fedeli a ciò che si è veramente.

La storia di Eleanor Oliphant è una speranza, una redenzione nei confronti di se stessi. Gail Honeyman fa tener banco ad una narratrice sui generis ma difficile da lasciar andare, alla fine.

 

Sabrina Turturro: Sabrina Turturro | Bookish person. Photography and movie enthusiast. Art, travel and tv shows addicted. A dreamer. Instagram, Snapchat, Facebook: nebuladaphne nebuladaphne@gmail.com
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