Ad alcuni –
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dov’è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.
Piace –
ma piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.
La poesia –
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come all’àncora d’un corrimano.
Così comincia una delle poesie più ironiche e famose contenute in questo volume, edito da Adelphi(link qui), intitolato “La gioia di scrivere” della poetessa Wislawa Szymborska.
Chi?
È questa la domanda che la maggior parte delle persone pone -o si pone, subito dopo aver letto o sentito questo nome -pronunciato alla bell’e meglio almeno da me, non mastico benissimo il polacco.
Wislawa Szymborska è stata una poetessa polacca nata nel 1923, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1996. Nonostante la sua fama internazionale, mi sono accorta di recente che solo in pochi la conoscono ed ecco il perché di questo articolo-elegia: dedicarle un piccolo, meritato spazio.
Le poesie della Szymborska ti entrano sottopelle e lì rimangono, placide e rassicuranti.
L’anima la si ha ogni tanto.
Nessuno la ha di continuo
e per sempre.
Giorno dopo giorno,
anno dopo anno
possono passare senza di lei.
A volte
nidifica un po’ più a lungo
solo in estasi e paure dell’infanzia.
A volte solo nello stupore
dell’essere vecchi.
Di rado ci dà una mano
in occupazioni faticose,
come spostare mobili,
portare valigie
o percorrere le strade con scarpe strette.
[…] Possiamo contare su di lei
quando non siamo sicuri di niente
e curiosi di tutto.
A chi piace la poesia? Ma sopratutto, chi legge davvero poesie? Per come la vedo io, una raccolta di poesie dovrebbe sempre essere presente sul comodino. Una poesia ogni tanto, quando ci va, quando si ha bisogno di un conforto diverso da quello che può offrire la prosa. Placebo poetico: ho trovato spesso nei versi di questa poetessa il mio.
Il suo è uno stile semplice, caratterizzato dal verso libero. Fa uso di alcuni espedienti retorici non troppo elaborati quali il paradosso, l’ironia tagliente, la litòte: pochi, incisivi, decisi.
La maestria con la quale Szymborska si muove tra le parole rende i suoi versi unici. E’ impossibile non rimanere colpiti dalle sue schiette affermazioni perché nella semplicità trovano il loro potere: il potere di arrivare a smuovere i sentimenti, come ogni poesia si augura di fare, con ironia o malinconia, spesso intrecciate tra loro.
Nel libriccino in foto, “La prima frase è sempre la più difficile” edito da Terredimezzo(link qui), la poetessa si racconta. È riportato il discorso tenuto in occasione della cerimonia di conferimento del Nobel nonché un’intervista di Dean E. Murphy che ho trovato illuminante, specie sulla controversa questione politica che la vide legata al Comunismo. A parte questo aspetto, la Szymborska si sofferma sul concetto d’ispirazione, una bestia nera che incute timore in ogni scrittore, poeta o artista. Credo che si possa riassumere così la sua opinione:
Qualunque cosa sia l’ispirazione, nasce da un continuo “non lo so”.
Consiglio questo piccolo libro perché, lasciando la parola alla Szymborska stessa, permette di cogliere alcune delle magnetiche sfaccettature della sua personalità.
Ricordo che uno dei primi versi letti di Wislawa Szymborska mi rimase così impresso da indurmi a scriverlo senza ritegno su quaderni e Moleskine. Il primo per me, l’ultimo di questo post, il modo migliore per chiuderlo.
Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.
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