L’onirico in scena al Piccolo Teatro Strehler

L’onirico in scena al Piccolo Teatro Strehler

Credits: Intesa Sanpaolo

Sógno s. m. [lat. sŏmnium, der. di somnus «sonno»]. – 1. a. In senso ampio, ogni attività mentale, anche frammentaria, che si svolge durante il sonno; in senso più ristretto, e più comunemente, l’attività più o meno nitida e dettagliata, con una struttura narrativa più o meno coerente, con sensazioni prevalentemente visive e con eventuale partecipazione emotiva da parte del dormiente. [Vocabolario Treccani]

È la prima definizione che troviamo sul dizionario a questa voce. Ma basta scorrere al secondo punto che ecco comparirne un’altra, totalmente diversa che recita: “Speranza o desiderio vano e inconsistente; vagheggiamento della fantasia; esperienza vissuta al di fuori della coscienza; bellezza o cosa incantevole.”

Come conciliare le due argomentazioni, altrettanto veritiere e sicuramente difficili da sondare? È possibile farlo realmente, mettendo la risposta su un palcoscenico?

Sono queste le domande alle quali hanno tentato di rispondere Federico Tiezzi, Marco Rossi, Gianluca Sbicca e tutta la compagnia che si cela dietro le quinte di “Freud o l’interpretazione dei sogni” in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino all’11 marzo.

Facciamo un passo indietro. Lo scorso giovedì ho avuto il piacere di esplorare il dietro le quinte del Teatro Piccolo e di assistere, con altri cinque noti blogger, alla rappresentazione che non faccio fatica a definire unica.

Noi blogger con Marco Rossi e Gianluca Sbicca.
Credit: Intesa Sanpaolo

Guidati dallo scenografo Marco Rossi e dal costumista Gianluca Sbicca abbiamo scostato la tenda per entrare in una vera e propria scatola magica, capace di dare nuova luce alla miriade di dettagli che compongono una rappresentazione.

Il testo, contrariamente a quanto si può pensare, non prende le mosse direttamente dal testo del fondatore della psicanalisi, Sigmund Freud, ma dal volume di Stefano Massini, uno dei più grandi drammaturghi italiani. Il testo non è l’adattamento dell’opera originaria, bensì una drammaturgia teatrale popolata da personaggi provenienti sia dall’universo freudiano sia dalla mente di Massini, come ci ha raccontato Marco Rossi.

Ho dato umanità a ciò che era prevalentemente teorico“, risponde Stefano Massini quando gli viene chiesto il tipo di lavoro fatto sugli originali freudiani. Nella rappresentazione, i personaggi sono i loro sogni, letteralmente. Freud, interpretato da un magistrale Fabrizio Gifuni, li guida tra realtà e sonno, in un duello ad armi pari.

Nella delicata operazione che vede come obiettivo finale quello di rappresentare i sogni in uno spettacolo teatrale, l’impatto visivo assume un’importanza ancora maggiore del solito.

Gli oggetti di ribellano a quella che è la morfologia dei sogni.

Marco Rossi ci ha descritto quanto lavoro si celi dietro scelte apparentemente facili. La scenografia si presenta essenziale, funzionale per diventare il palcoscenico dell’onirico. Si lavora sulla durata, sui luoghi che in scena devono riuscire ad evolversi con la drammaturgia stessa. “Bisogna concretizzare un luogo in cui sia possibile creare uno slittamento tra la realtà e il tempo della narrazione” continua lo scenografo illustrandoci i passaggi del suo non semplice lavoro, “semplificare, dilatare gli spazi per permettere ai pazienti di essere allo stesso tempo anche sognatori“.

Al tradizionale palcoscenico sono collegate tre pedane che arrivano vicine al pubblico. Quando chiediamo a cosa servano, Marco Rossi risponde: “Tre pedane che servono per sfondare la scena e dare l’impressione che sia tutto collegato, avvicinando la rappresentazione al teatro kabuchi piuttosto che a quello brechtiano“. Nulla è lasciato al caso: in questo modo si ricrea quel delicato passaggio dal sogno al risveglio, dagli attori al pubblico.

Quando ci spostiamo in sartoria – dopo una sosta nei camerini che no, non hanno deluso le aspettative e non ci hanno impedito di fermarci sotto le bianche lampadine per qualche autoscatto – è il capo costumista Gianluca Sbicca a prendere la parola e farci sognare tra drappi di velluto e pizzo.

 

Gli abiti sono ispirati tutti alla secessione viennese, nonostante l’opera sia ambientata durante gli ultimi anni dell’800″, ci spiega mentre sfoglia il volume in cui raccoglie tutte le fonti d’ispirazione necessarie per creare il guardaroba che vestirà gli attori; non a caso spesso mi hanno ricordato le tele di Gustav Klimt. Il tessuto più usato in scena è il velluto: assorbe la luce – un po’ come chiudere le palpebre, no? – ma che quando è esposto alla luce diventa brillante. Tutti vestiti di velluto quindi, tutti tranne Freud. Lui doveva essere diverso, ci spiega. Lui è la guida, nel suo completo classico che spicca in mezzo a tutti gli altri.

La sartoria è un tripudio di modelli e colori: macchine da cucire una dietro l’altra, pareti piene di cassetti contenenti il minimo dettaglio: fazzoletti, reggicalze, polsini, merletti, bottoni, pronti per diventare Tessa W., Ludwig R., Oskar K.

 

Ed il make-up? Curato da Aldo Signoretti – sì, è la punta di diamante italiana candidato per tre volte agli Academy Awards in questa categoria per titoli quali Moulin Rouge, Apocalypto e Il divo – è funzionale alla narrazione: volti cerulei, occhiaie marchiate, malsani.

 

Tutti questi aspetti hanno concorso ad una perfetta realizzazione dell’onirico, ai labirintici territori della mente umana che sfuma nell’irrealtà. Un po’ come quella sensazione sfuggente, a volte irritante, di sforzarsi di ricordare un sogno una volta svegli. Il palcoscenico del Piccolo Teatro Stahdler è diventato un luogo sospeso, una realtà in cui perdersi.

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Sabrina Turturro
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Sabrina Turturro | Bookish person. Photography and movie enthusiast. Art, travel and tv shows addicted. A dreamer. Instagram, Snapchat, Facebook: nebuladaphne nebuladaphne@gmail.com

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