01 Lug Su Neon Genesis Evangelion
Su Neon Genesis Evangelion o il bisogno di essere all’altezza
speculazioni su una folgorazione
“Evangelion è una parola greca tratta dal Cristianesimo.
In realtà l’ho scelta perché suonava complicata.”
Anno Hideaki
Neon Genesis Evangelion è una serie animata che ha catturato, nel tempo, l’attenzione di milioni di fan in tutto il mondo. Arrivare a scoprirla per me nel 2023 quando ormai tutto è concluso da tempo è un po’ come dire che un grande classico della letteratura come – uno a caso – Il conte di Montecristo, è davvero un capolavoro. Dal canto mio, non mi aspettavo di uscirne così affascinata. Il suo impatto emotivo e le tematiche complesse mi hanno colpita in modo decisamente inaspettato, regalandomi un’esperienza che ha superato le mie aspettative e facendomi cadere in uno stato che ha toccato l’ossessione.
Ora, a distanza di un anno dalla prima visione, sono qui che cerco di raccogliere le fila di questa avventura. Anche perché una volta mi è stato detto che bisogna allontanarsi dalle emozioni profonde prima di provarne a scriverne e di non farlo mai ne quando si è troppo tristi ne felici. Non sono particolarmente d’accordo, ma trovo che in parte a volte sia utile per non lasciarsi trasportare dalla corrente.
Quando ho iniziato a guardare Neon Genesis Evangelion era maggio 2023, di rientro da un viaggio in Giappone: ho visto di seguito e senza interruzioni serie originale e tutti i film successivi senza avere la più pallida idea di ciò che avrei trovato. La serie mi è stata raccomandata da amici appassionati di anime fin dai tempi del liceo credo, ma non ero preparata alla profondità che avrei incontrato lungo il percorso. Sin dalle prime scene si avverte chiaramente un senso di inquietudine che si è rapidamente trasformato in un coinvolgimento emotivo.
Una delle cose che ho apprezzato di Evangelion è stata la sua audacia nel trattare tematiche complesse e universali. La serie affronta questioni esistenziali come l’identità, la solitudine, la ricerca di un significato nella vita, la lotta contro i propri demoni. Queste tematiche sono state affrontate in modo così intenso e riflessivo che mi hanno spinto a un’introspezione personale – un percorso di terapia per immagini insomma.
Chi non si è mai sentito non all’altezza? Non abbastanza, non voluto, non completo.
Non.
La negazione di essere sé stessi: il complesso, quasi inestricabile, rapporto con i propri genitori.
Il tema dell’identità è uno dei pilastri fondamentali di Neon Genesis Evangelion e viene esplorato in modo profondo e complesso lungo tutta la serie. I personaggi principali, in particolare Shinji Ikari, affrontano una continua lotta per comprendere chi sono e quale sia il loro posto nel mondo.
Neon Genesis Evangelion mette in discussione l’idea stessa di identità stabile e univoca, mostrando come gli individui siano soggetti a cambiamenti, contraddizioni e incertezze. Shinji, ad esempio, oscilla tra momenti di fiducia e di profonda insicurezza, passando da un desiderio di connessione e approvazione a una tendenza a ritirarsi e a chiudersi emotivamente: questo conflitto interiore evidenzia quanto sia difficile per lui comprendersi e accettarsi.
La serie esplora anche come l’identità possa essere influenzata dalle aspettative sociali e dai ruoli che ci vengono imposti. I personaggi sono costantemente sottoposti a pressioni esterne che cercano di definire chi dovrebbero essere e come dovrebbero comportarsi. Ad esempio, lo stesso Shinji si sente costantemente in bilico tra il desiderio di essere accettato e l’angoscia di deludere le aspettative degli altri, in primis con suo padre Gendo: questa tensione tra l’individuo e la società alimenta i conflitti interni e mette in discussione la natura stessa dell’identità.
Torno proprio sul rapporto con suo padre, Gendo Ikari, uno dei personaggi più oscuri di tutta la serie: il loro rapporto è senz’altro uno dei fulcri emotivi di Evangelion e rappresenta un complesso intreccio di abbandono, desiderio di riconoscimento e incomunicabilità. All’inizio della serie, Shinji viene convocato a Tokyo-3 da Gendo dopo anni di separazione, non per una riconciliazione familiare come lui auspica, ma per pilotare l’Evangelion Unit-01. Questo incontro iniziale esemplifica la freddezza e la distanza emotiva che caratterizzano il loro rapporto. Gendo, distante e calcolatore, tratta Shinji più come uno strumento nella lotta contro gli Angeli che come un figlio, alimentando in Shinji un profondo sentimento di inadeguatezza e di abbandono. Shinji, da parte sua, desidera disperatamente l’approvazione e l’affetto paterno, ma ogni tentativo di avvicinarsi a Gendo è reso doloroso dalla sua indifferenza e dalla sua apparente mancanza di empatia.
La relazione tra Shinji e Gendo è complicata ulteriormente dai sentimenti contrastanti di rabbia e bisogno di riconciliazione. Gendo rappresenta per Shinji il massimo simbolo dell’autorità e della perfezione inaccessibile, un punto di riferimento tanto desiderato quanto temuto. Tuttavia, Gendo stesso è un personaggio segnato dal dolore e dall’ossessione per la scomparsa della moglie, Yui, la madre di Shinji, e la sua freddezza emotiva è una manifestazione del suo modo distorto di affrontare la perdita. Questa dinamica di amore non corrisposto e di ferite emotive non guarite culmina in momenti di tensione e scontro, ma anche in attimi di rivelazioni intime, che, seppur rare, mostrano la complessità e la profondità dei sentimenti di entrambi.
Evangelion porta lo spettatore, volente o nolente, a immedesimarsi con i suoi protagonisti. Essi diventano lo specchio di noi stessi e la loro solitudine, le loro paure rispecchiano la solitudine e le paure che esistono in tutti noi.
Credo che la maggiore innovazione introdotta da Evangelion consiste, però, nell’aver spostato l’azione quasi totalmente sul piano psicologico. Benché la prima metà possa essere considerata incentrata principalmente sui combattimenti in pieno genere mecha, già dal primo episodio vengono presentati individui dalla psiche fragile, traumatizzati dal loro passato – come già visto nel rapporto padre/figlio. Ognuno di essi, nella sua disfunzionalità è contestualizzato e mosso da sentimenti e motivazioni talmente umane da lasciare il pubblico spiazzato. Il tema portante dell’impossibilità di comprendersi reciprocamente permea le puntate, portando a galla il vero dilemma dell’esistenza umana, e culminando in un’apocalisse ristretta al piano individuale.
Siamo all’episodio 4 e già è chiaro il tema portante: non a caso, l’episodio si chiama “Hedgehog’s Dilemma” nell’originale, ovvero “Il dilemma del porcospino” di Arthur Schopenhauer.
Questo dilemma descrive la situazione in cui i porcospini, per riscaldarsi durante l’inverno, devono avvicinarsi, ma trovano doloroso il contatto a causa dei loro aculei. Allontanandosi, però, rischiano di morire di freddo. Questo dilemma è emblematico delle relazioni umane nella serie, in particolare quelle di Shinji Ikari con suo padre e con Asuka Langley Soryu.
Il rapporto di Shinji con Asuka offre un ulteriore spunto sul “dilemma del porcospino”. Entrambi desiderano un legame autentico ma sono terrorizzati dall’idea di essere feriti. Asuka, con il suo carattere forte e il suo comportamento spesso ostile di cui parlerò più avanti, nasconde una profonda insicurezza, simile a quella di Shinji. Ogni loro interazione è caricata di tensione, con momenti di avvicinamento seguiti da spinosi scontri che rivelano le loro paure e vulnerabilità. Mentre Asuka cerca di affermare la sua superiorità e indipendenza, Shinji combatte con la sua tendenza all’autocommiserazione e all’isolamento. Nonostante i conflitti, entrambi cercano, a modo loro, un contatto umano autentico, riflettendo perfettamente il dilemma del porcospino: l’incapacità di avvicinarsi senza infliggere e subire dolore, ma anche l’incapacità di vivere in un isolamento che li condannerebbe a una solitudine emotiva insostenibile.
Il dilemma del porcospino si manifesta anche nel rapporto tra Shinji e Rei Ayanami. Rei è un personaggio enigmatico e introverso a dir poco, il cui comportamento riservato e distante crea una barriera emotiva che Shinji tenta di superare. Inizialmente, Rei appare fredda e indifferente, ma man mano che la serie progredisce, Shinji inizia a vedere in lei una figura di conforto e comprensione, anche se complessa e ambigua. La relazione tra Shinji e Rei è caratterizzata da una sorta di delicatezza e rispetto reciproco, ma è anche segnata dalla difficoltà di comprendere e accettare le rispettive identità e traumi – e di cui si troverà piena risposta nello svelamento della sua identità. La loro interazione riflette il desiderio di connessione umana, nonostante i rischi di essere feriti o respinti, similmente al dilemma del porcospino.
Quindi, nella narrativa di Evangelion, il dilemma del porcospino assume un ruolo chiave nel delineare la complessità delle relazioni umane e delle dinamiche psicologiche dei personaggi: è una riflessione sulla vulnerabilità, la necessità di connessione e il rischio del dolore che accompagna ogni tentativo umano di avvicinarsi agli altri.
L’enfasi è posta sulla distruzione, non semplicemente del mondo materiale, ma del mondo interiore dell’animo umano. Non a caso il tema più ricorrente è quello dell’anima, colta negli aspetti della vulnerabilità, la frammentazione e l’inevitabilità del crollo della psiche, schiacciata sotto al peso dell’alienazione che caratterizza il nostro secolo.
Evangelion suggerisce che l’identità non è un concetto statico, ma un percorso di scoperta personale e di accettazione di sé. I personaggi attraversano esperienze traumatiche e situazioni estreme che li costringono a confrontarsi con le loro paure, i loro traumi e i loro desideri più profondi. Questi momenti di sconvolgimento e crisi diventano delle occasioni per un’autoriflessione e una ricerca interiore, permettedo ai personaggi di crescere e di sviluppare una comprensione più profonda di sé stessi.
Il personaggio che sicuramente più mi ha colpita e di cui vado a parlare ora è Asuka Langley Soryu.
Asuka Langley Soryu, introdotta in modo assolutamente incisivo nel nono episodio , è la Seconda Bambina e pilota dell’Evangelion Unit-02. Di origine giapponese e tedesca, Asuka è un personaggio complesso e stratificato, il cui percorso nella serie è segnato da incredibili alti e bassi. Fin da bambina, Asuka dimostra di essere un prodigio, conseguendo una laurea all’età di quattordici anni, ma il suo desiderio di eccellere nasconde un passato tormentato. È cresciuta sotto la pressione del successo accademico e del dovere di essere la migliore, alimentata anche dal tragico suicidio della madre, che ha lasciato profonde cicatrici emotive.
Quando Asuka arriva a Tokyo-3 per unirsi a Nerv, la sua personalità esplosiva e competitiva si manifesta subito. È arrogante, sicura di sé e non esita a mostrare il suo disprezzo per chiunque non ritenga al suo livello, specialmente Shinji – non a caso, lo ribattezza subito come “baka Shinji” ovvero stupido Shinji. Nonostante le sue capacità innegabili come pilota, le sue insicurezze sono evidenti: Asuka brama continuamente approvazione e riconoscimento, temendo profondamente di essere inutile e non amata. Questa vulnerabilità si accentua quando inizia a perdere il suo vantaggio competitivo, vedendo Shinji e Rei Ayanami superarla in varie battaglie contro gli Angeli.
La parabola discendente di Asuka è segnata da una crescente frustrazione e auto-distruzione. Col passare degli episodi, la sua autostima crolla, culminando in una catarsi psicologica che la porta a un isolamento sempre più profondo. Nel film “The End of Evangelion”, Asuka vive un risveglio simbolico in cui riesce temporaneamente a riaffermare la sua volontà di combattere, usando le ultime forze del suo Eva per impegnarsi in una battaglia disperata contro i Mass Production Eva. In questo confronto, Asuka dimostra una comprensione profonda del proprio valore e del desiderio di vivere, ma il suo destino rimane tragicamente ambiguo.
La complessità del personaggio di Asuka e la profondità delle sue lotte interiori fanno di lei una figura emblematica della serie, quella che mi ha colpita fin da subito e con la quale mi sono trovata a empatizzare, nel bene e nel male. Rappresenta la fragilità umana e la tensione costante tra il desiderio di affermazione e l’inevitabile confronto con i propri limiti. Non posso non citare l’emblematica scena che la rappresenta a pieno, siamo all’episodio 22: dovendo prendere l’ascensore e trovandovi dentro Rei, dopo il primo momento di indecisione Asuka sale e si posiziona in un angolo. Noi spettatori osserviamo la scena come se la telecamera fosse posizionata in cima alle porte dell’ascensore, vedendo quindi Rei in primo piano e Asuka in secondo, appoggiata con la schiena alla parete destra dell’ascensore, braccia incrociate al petto e sguardo corrucciato rivolto verso sinistra. La scena rimane immobile per cinquanta interi secondi, mentre lo scorrere del tempo è palesato solo dallo sbattere gli occhi di Asuka e dal suo inspirare rumorosamente con il naso.
La sua forza apparente, combinata con una vulnerabilità nascosta, la rende incredibilmente umana. Asuka è più di una semplice pilota di Evangelion: è un personaggio che incarna le contraddizioni e le sfide dell’adolescenza, il bisogno di riconoscimento e la paura del fallimento. La sua evoluzione, dal momento in cui appare con il suo carattere fiero e spavaldo fino ai tragici eventi di “The End of Evangelion”, da allo spettatore una rappresentazione cruda e autentica di una giovane donna in lotta con se stessa e con il mondo che la circonda.
Difatti sicuramente tra gli aspetti più notevoli di Evangelion c’è l’evoluzione dei suoi personaggi principali. Mentre li si segue nel corso della serie, si assiste alla loro crescita, ai loro tormenti e alle loro sfide personali. Ogni personaggio è stato dipinto con una profondità psicologica straordinaria. È stato affascinante vedere come i personaggi si sono trasformati e hanno reagito di fronte alle situazioni complesse in cui si sono trovati, creando un legame emozionale tra loro e il pubblico.
Il finale di Neon Genesis Evangelion è uno degli aspetti più sorprendenti e discussi della serie, suddiviso tra gli episodi conclusivi della serie televisiva e il film “The End of Evangelion“. Gli ultimi due episodi della serie televisiva si distaccano radicalmente dalla narrazione convenzionale della trama e si immergono in un’esplorazione psicologica profonda dei personaggi principali, in particolare di Shinji Ikari. In un’ambiente astratto e surrealista, gli episodi mettono a fuoco le lotte interiori di Shinji, confrontandolo con le sue paure, insicurezze e desideri. Questo finale, incentrato su quella che si può chiamare auto-analisi esistenziale, ha diviso il pubblico a causa del suo stile sperimentale e della mancanza di una conclusione narrativa tradizionale.
Infatti, in risposta alle critiche, Hideaki Anno ha elaborato una conclusione alternativa con il film “The End of Evangelion” – che io ho amato profondamente. Questo film riprende la narrazione interrotta e offre una conclusione più concreta degli eventi, mantenendo comunque la complessità psicologica che caratterizza l’intera serie. La trama del film culmina in una sequenza di eventi apocalittici durante il Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo, un piano volto a fondere tutte le coscienze umane in un unico essere per eliminare il dolore e la solitudine. Shinji, posto al centro di questa crisi esistenziale, deve scegliere tra la fusione e la preservazione della sua individualità. La sua decisione di abbandonare l’uniformità e accettare la sofferenza come parte della condizione umana porta a un finale ambiguo e aperto, ricco di simbolismo e introspezione.
Neon Genesis Evangelion si è rivelato essere un’esperienza trasformativa: Hideaki Anno ha creato un’opera complessa che, attraverso un intreccio di battaglie mecha e introspezioni psicologiche, esplora temi universali.
In questo anno, ho anche rivalutato (in parte) la figura di Shinji Ikari. Inizialmente percepito come un protagonista debole e insicuro che mi ha fatta più volte esasperare, a mente fredda Shinji si è rivelato un ritratto profondamente umano di un adolescente in crisi – un po’ tanto. Shinji, con le sue esitazioni e paure, rappresenta la fragilità umana in tutti noi, e il suo percorso è un invito a confrontarci con le nostre insicurezze piuttosto che a sfuggirle.
Neon Genesis Evangelion non è semplicemente una serie animata, ma un’opera d’arte che invita a una profonda riflessione: a cose finite, non mi resta che ascoltare in loop “One last kiss” di Hikaru Utada e struggermi sempre un po’.
Ps. In questo articolo ho volutamente evitato di soffermarmi sulla serie Rebuild che secondo me merita un discorso a parte e avrebbe reso il tutto più complesso sia da scrivere sia da leggere.
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