14 Mar La felicità domestica, Lev Tolstoj
Casa editrice: Fazi Editore
Titolo: La felicità domestica
Traduttore: Clemente Rebora
Pagine: 144
Una ricerca lunga una vita, quella della felicità domestica.
Che Tolstoj fosse destinato a scrivere un capolavoro senza tempo come Anna Karenina è facilmente intuibile dal romanzo breve che la casa editrice Fazi Editore ha deciso di ripubblicare qui in Italia: sto parlando de “La felicità domestica” con in copertina la bellissima tela di Valentin Serov che ritrae Olga Fedorovna Tamara.
Quando si parla di Tolstoj, aldilà degli intrecci di trama che sì, hanno un posto in prima fila nelle sue narrazioni, la caratteristica che mi ha colpita fin da subito è stata la sua capacità di descrivere i sentimenti e le relazioni umane in tutte le loro sfaccettature e metamorfosi: aspetto che anche in questo volume – che conta poco meno di 150 pagine – è riuscito a mettere nero su bianco.
Al centro de “La felicità domestica” c’è Mascia, adolescente rimasta orfana che vive in campagna con la sorella e la governante. Durante il lungo inverno russo, fa la sua comparsa Serghièi Mikhàilovic, vecchio amico di famiglia e di parecchi anni più grande della protagonista. Serghièi rimane affascinato da quella giovane donna, impressionato dal fatto di trovarla così cresciuta rispetto all’ultima volta; ma anche nella giovane Mascia qualcosa è destinato a cambiare.
L’innamoramento è incerto, i due si rincorrono per diverso tempo prima di sbilanciarsi: il primo frenato dalla giovinezza di lei, la seconda per la motivazione opposta e dal sentirsi inadeguata agli occhi di un uomo con così tanta esperienza. Ad arricchire il tutto ci sono le celeberrime descrizioni di Tolstoj, divise tra chi le ama e chi invece mal le sopporta, io faccio parte del primo gruppo.
Chiara è anche la presenza di elementi autobiografici: un Tolstoj poco più che trentenne era divenuto tutore di una giovane orfana e fu sul punto di fidanzarsi con lei quando improvvisamente tutto venne annullato; il divario d’età tra i due e tutte le differenze che ciò comporta, sono ravvisabili nell’opera.
La complessità dei rapporti tra i due protagonisti si fa più marcata dopo le nozze dei due: l’amore, passato il momento iniziale, deve necessariamente trasformarsi in quieto affetto? La domanda cardine del romanzo è questa. Tolstoj non da soluzioni né risposte certe: marito e moglie si muovono su un filo sottilissimo, oscillando tra il sentimento iniziale che li ha inesorabilmente attratti e la vita coniugale con le sue punte di gelosia, che li vede allontanarsi quasi inconsapevolmente.
“Eh via un po’ ancora! Tu sacrifichi!”, egli calcò in modo speciale su questa parola, “e io sacrifico: non si può meglio. Nobile gara di magnanimità. Quale felicità domestica più di così?”.
Sento di consigliare la lettura di questo libro sia a chi, come me, ha avuto modo di apprezzare Tolstoj nelle sue opere più mature, sia invece a chi, nutrendo quella sorta di timore reverenziale nei confronti dei classici e della loro mole, non ha mai avuto occasione di farlo – tenendo bene a mente, però, che nonostante La felicità domestica conservi in nuce tutte le caratteristiche della scrittura tolstoiana, queste avranno modo di trovare pieno svolgimento negli anni successivi.
Unico neo che a volte mi ha rallentato la lettura a parer mio è stata la traduzione: non sono un’amante delle traduzioni ampollose e baroccheggianti, ma è anche vero che non conoscendo una sola parola di russo e non avendo letto altra edizioni all’infuori di questa, non posso sbilanciarmi granché sul lavoro di Clemente Rebora.
«A me sembrava che noi due insieme saremmo stati infinitamente e tranquillamente felici. E non che avessi di mira viaggi all’estero, la società, il viver brillante; ma anzi, un ben altro genere di vita, pacifico, tutto famiglia, tutto campagna, in perpetua dedizione di sé, in perpetuo vicendevole amore e in perpetua consapevolezza di una benigna e soccorrevole Provvidenza».
No Comments