Il cardellino, Donna Tartt

Il cardellino, Donna Tartt

Il cardellino, Donna Tartt

Su Il cardellino di Donna Tartt si sono già spese tante parole e dopo averlo letto capisco perché. È uno di quei libri di cui alla fine senti l’esigenza di parlare, di tirare il braccio di una tua amica e con gli occhi ancora un po’ lucidi ritrovarti a raccontarle di Theo Decker in modo concitato(quest’ultimo dettaglio è tratto da una storia vera, la mia).

Il cardellino, Donna Tartt

The Goldfinch – il titolo originale possiede una forza che si perde nella traduzione, una colpa che però non si può dare a nessuno – entra nel vivo con lo scoppio di una bomba durante un attacco terroristico. Theo Decker ha tredici anni e si trova sul luogo dell’attacco, il Metropolitan Museum of Art di New York, con la sua amatissima madre, appassionata d’arte che lo ha trascinato lì prima di recarsi ad ricevimento a scuola del figlio, sospeso per una bravata. Ad attirare l’attenzione della donna è una piccola tela, la sua preferita, quella composta dall’artista olandese Fabritius, allievo di Rembrant: Il cardellino. Theo si lascia trasportare da una sala all’altra seguendo l’aria trasognata di sua madre e allo stesso tempo lo sguardo timido ma fiero di una ragazzina dai capelli rossi in visita lì con quello che sembra essere suo nonno. I due incrociano spesso lo sguardo e da quegli occhi Theo non si libererà più.

L’atmosfera sospesa che si respira nel museo viene interrotta bruscamente dall’esplosione. I momenti immediatamente successivi alla deflagrazione assumono le tinte scure di un noir, proprio come quei colori duri dei maestri dell’Ottocento che stavano ammirando: Theo si ritrova proprio accanto a quel vecchio, che gli lascia un anello d’oro chiedendogli tra gli ultimi respiri di vita, di riportarlo da Hobart e Blackwell. C’è un ultimo importante dettaglio, quello che influenzerà l’intera vita di Theo: gli chiede di portare in salvo proprio quella tela a cui sua madre era così legata. Con Il cardellino sotto il braccio, una scena che diventerà ricorrente nel romanzo, Theo si farà strada nel museo scavalcando fuliggine, cadaveri, buio e, ancora non lo sa, lasciando per sempre tra quelle mura sua madre: sono i momenti che segneranno la sua esistenza.

Com’era possibile sentire la mancanza di qualcuno come io sentivo quella di mia madre? Avrei voluto morire, da quanto mi mancava: era un bisogno terribile e fisico, come quello d’ossigeno sott’acqua. […] cercavo di ritrovare i ricordi più belli che avevo di lei – di imprimermela nella memoria, per non dimenticarla-, ma al posto dei compleanni e dei momenti felici continuavano a tornarmi in mente scene banali come quella in cui, pochi giorni prima che morisse, mi aveva fermato appena fuori dalla porta di casa per togliermi un filo dalla giacca della divisa della scuola.

Da quel 10 aprile la vita di Theo prenderà strade imprevedibili, traballanti, lastricate da personaggi poco raccomandabili – come suo padre, alcolizzato e giocatore d’azzardo in una Las Vegas alla quale non siamo abituati -, trovando come vie d’uscita la dipendenza da droghe e alcool, entrambe iniziate da Boris, altro grande personaggio creato dalla Tartt, e dalle ossessioni, per il quadro e per quella ragazzina dai capelli rossi, Pippa, incrociata nel museo. Solo anni dopo si ritroverà a vivere e lavorare proprio da Hobart e Backwell aiutato da Hobie, il grillo parlante di tutta la vicenda, la coscienza alla quale Decker dovrà dar conto, un personaggio con il quale è impossibile non legarsi. Metà tra thriller e romanzo dell’Ottocento dal sapore dickensiano – un po’ Oliver Twist, un po’ David Copperfield – le pagine scorrono una dietro l’altra seguendo lo sguardo di Theo che, capitolo dopo capitolo, attraverserà l’adolescenza.

“E se i giocatori d’azzardo l’avessero capito meglio di chiunque altro? Tutto ciò che ha davvero valore rappresenta una scommessa. E le cose buone non entrano spesso dalla porta sul retro?” E sì. Immagino che la risposta sia sì. O – per citare un’altra paradossale perla di mio padre: a volte devi perdere per vincere.

Il cardellino, Donna Tartt

Donna Tartt, ed ora posso affermarlo con certezza, ha l’innato potere di far sentire tutto. I personaggi sono tangibili, sembra di sapere già come reagiranno ad una notizia, ad un avvenimento, sembra di vederli lì uno accanto all’altro con personalità così definite che a volte ritornano in mente anche quando sei in fila alla cassa del supermercato. Se in Dio di illusioni erano i co-protagonisti ad avermi catturata maggiormente – impossibile da dimenticare la complessità di Henry Winter, ad esempio – ne Il cardellino invece è stato Theo a tenere banco dall’inizio alla fine, un protagonista assoluto.

E ancora, in Dio di illusioni la bellezza era terrore; qui Theo, analizzando con estrema lucidità tutto ciò che gli è successo nel corso della vita nelle ultime indimenticabili pagine, afferma che la bellezza cambia la venatura della realtà, la bellezza deve essere associata a qualcosa di più profondo.

Ma cos’è quel qualcosa? Perché sono fatto così? Perché tengo alle cose sbagliate, e non mi curo di quelle giuste? O, per metterla in un altro modo: come è possibile che, pur rendendomi conto che tutto quel che amo o che m’interessa è un’illusione, io continui a sentire che tutto ciò per cui vale la pena vivere risiede proprio in quell’illusione?

Theo Decker ha seguito il suo cuore. Che esso sia stato o meno un cuore inaffidabile se lo domanderà alla fine del romanzo. Lo ha seguito sbagliando, cadendo, arrivando al baratro e affacciandosi sul suo bordo; cadendoci dentro.

Cosa succede se ti ritrovi con un cuore inaffidabile? Se questo cuore, per ragioni imperscrutabili, ti porta ostinatamente, avvolto in una nube di indicibile fulgore, lontano da tutto ciò che è sano, dal conforto dei piaceri domestici, dal senso civico e dai legami sociali e da tutte quelle che vengono comunemente considerate virtù per trascinarti invece verso uno stupendo falò di rovina, immolazione e disastro?

Cosa rende un romanzo degno della definizione di capolavoro? È uno di quegli interrogativi difficili, perché è la lettura ad essere difficile. Il cardellino ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa nel 2014: “a beautifully written coming-of-age novel with exquisitely drawn characters that follows a grieving boy’s entanglement with a small famous painting that has eluded destruction, a book that stimulates the mind and touches the heart.”

Il cardellino, Donna Tartt

Per quanto mi riguarda, credo che anche tra cento anni il lettore che si troverà in mano questo volume potrà ritrovare tutte le sensazioni, i messaggi universali che Donna Tartt è riuscita a descrivere in modo così unico e a rispecchiarcisi. Come un grande classico, di sopra del periodo, dal pubblico che cambia, dalle mode del momentoIl cardellino rimarrà una di quelle pietre miliari lungo la strada di un lettore. Per me, a rendere un romanzo degno di quell’aggettivo, è proprio questo.

Perché, tra la “realtà” da un lato, e il punto in cui la mente va a sbattere contro la realtà, esiste uno spazio sottile, uno spicchio d’arcobaleno da cui origina la bellezza, il punto in cui due superfici molto diverse tra loro si mescolano e si confondono per procurare ciò che la vita non ci dà: e questo è lo spazio in cui tutta l’arte prende forma, e tutta la magia. E – aggiungerei – anche tutto l’amore.

 

Sabrina Turturro
sabrina.turturro@gmail.com

Sabrina Turturro | Bookish person. Photography and movie enthusiast. Art, travel and tv shows addicted. A dreamer. Instagram, Snapchat, Facebook: nebuladaphne nebuladaphne@gmail.com

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