Trilogia di New York

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Trilogia di New York

L’aereo è atterrato di sera, circa le 20 ora locale. Dal JFK non si vedeva ancora nulla ed è solo in taxi, mentre l’autista messicano(e già, guarda un po’) ci parlava di non so più cosa, che per la prima volta ho scorto lo skyline più bello che io abbia mai visto. Lì, stagliata davanti a me c’era la città declamata da poeti e scrittori di ogni epoca.

Sono stata nella Grande Mela a marzo 2016, dopo averla corteggiata nei miei sogni per anni, e parlare di questa trilogia senza parlare anche di New York dopo aver avuto la fortuna di esserci stati è impossibile. Andrò un po’ a naso, come a volte fanno i personaggi di questo signore qui, questo certo Paul Auster, anche se poi non è vero o chissà, magari tenta solo di confonderci.

New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto lo esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto. Perduto non solo nella città, ma anche dentro di sé. Ogni volta che camminava sentiva di lasciarsi alle spalle se stesso. e nel consegnarsi al movimento delle strade, riducendosi a un occhio che vede, eludeva l’obbligo di pensare; e questo, più di qualsiasi altra cosa, gli donava una scheggia di pace, un salutare vuoto interiore.

Siamo a pagina sei del primo romanzo della trilogia, Città di vetro e già l’abilità di Auster di tratteggiare con esattezza ciò che talvolta le strade della metropoli infondono viene fuori. Poco dopo, Quinn affermerà di “non sentirsi in nessun luogo“. Le strade di New York hanno un insolito quanto singolare potere: quello di farti sentire minuscolo e sperduto, anche se sai esattamente dove sei. Ho vissuto questa sensazione sulla mia pelle, l’ho rivissuta tra queste pagine in modo così vivido che spesso mi sembrava di passeggiare nell’immenso reticolo urbano con i vari personaggi.

Uno dei fili conduttori dei vari racconti,”Città di vetro”, “Fantasmi”, “La stanza chiusa” pubblicati separatamente dall’autore tra il 1985 e ’87 che insieme costituiscono Trilogia di New York, è quello della solitudine. È vero, sono tre detective stories, ma se vi aspettate indagini più o meno classiche alla Sherlock Holmes allora avete sbagliato libro. Auster fa molto di più: ribalta il senso tradizionale dell’indagine, trasformandola in un’analisi profonda dell’individuo. Tutti i nodi delle vicende alla fine mettono davanti al protagonista i propri limiti, le sue paure, in modo da sfiorare talvolta il surreale: si annullano fino a scomparire tra le strade della città.

Quali sono le trame? In Città di vetro troviamo uno scrittore di romanzi gialli che preferisce celarsi sotto uno pseudonimo che si finge un vero detective privato per seguire un caso alquanto singolare; in Fantasmi un vero detective viene ingaggiato da un cliente misterioso per pedinare un certo Black ma i ruoli finiscono per capovolgersi e chi pedina si scopre pedinato; ed infine in La stanza chiusa un uomo pian piano sostituisce quello che era stato il suo migliore amico, ora scomparso, sposandone la moglie e pubblicando per lui i suoi scritti.

Spiegare più di così equivarrebbe a togliere metà della bellezza di questo libro, ovvero lo sbrogliare la matassa pagina dopo pagina.

Nei romanzi spesso Auster si lascia andare alla metanarrazione, cosa che all’inizio può lasciare spiazzati ma che poi in realtà finisce per amalgamarsi completamente alla trama. Parlo della digressione su Humpty Dumpty, l’uovo parlante nato dalla penna di Lewis Carrol; dei brevi saggi critici sulla vera identità dell’autore del Don Chisciotte; la breve storia di John Roebling e suo figlio che costruirono il ponte di Brooklyn o della parentesi sul Walden di Thoreau; infine, un vero e proprio personaggio metanarrativo. Nel primo racconto questo espediente ha il suo apice. Ci troviamo di fronte ad un uomo di nome Paul Auster, che dovrebbe essere il detective designato per caso ma che poi altri non sarà che Auster stesso, in una serie di scoperte simili ad una matrioska.

Una struttura che, proprio a causa di queste digressioni, appare sempre più labirintica, specchio di un’inquietudine esistenziale sapientemente resa. Gli stessi titoli dei tre romanzi rimandano a qualcosa di inafferrabile, fino a giungere alla conclusione finale, la claustrofobica stanza chiusa.

Dopo tutto ciò che ho scritto, appare chiaro il mio giudizio: ho letto Trilogia di New York in pochi giorni, assaporando una pagina dietro l’altra, completamente rapita dall’abilità di questo scrittore di cui sicuramente leggerò altro(se avete titoli da consigliarmi io sono qui).

 

(Foto del post mie)

 

Sabrina Turturro
sabrina.turturro@gmail.com

Sabrina Turturro | Bookish person. Photography and movie enthusiast. Art, travel and tv shows addicted. A dreamer. Instagram, Snapchat, Facebook: nebuladaphne nebuladaphne@gmail.com

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