13 Dic Maeve Brennan e il principio dell’amore
Maeve Brennan, l’affascinante giornalista irlandese del New Yorker
Nell’introduzione presente nell’edizione Bur de “Il principio dell’amore“, William Maxwell, editor e caro amico di Maeve Brennan, la ricorda così:
Era una donna minuta, affascinante, generosa e spiritosa, anche se non si sforzava affatto di esserlo; aveva occhi verdi, portava occhiali enormi con la montatura di corno e i capelli castani cotonati e raccolti in un’acconciatura simili a un grosso alveare.
Arrivata diciassettenne a New York grazie all’incarico da diplomatico di suo padre (Robert Brennan divenne il primo rappresentate della repubblica d’Irlanda a Washington), quando la famiglia tornò in patria lei decise di rimanere. Prima di approdare alla prestigiosa sedia del New Yorker che l’avrebbe vista, tanto per dire, vicina di sedia di W. H. Auden, Maeve lavorò come bibliotecaria nella sezione archivi, poi da Harper’s Bazar scrivendo di moda e costume ed infine passando alle brevi segnalazioni, scrivendo ogni tanto anche recensioni più importanti.
Fu quando le assegnarono l’ufficio al ventesimo piano che conobbe Maxwell, colui che ci racconta gli aneddoti più particolari della sua vita. Aveva una citazione di Yeats scritta a matita sul muro, dice, in un punto in cui anche lui poteva leggerla stando seduto alla scrivania.
Soltanto ciò che non insegna, ciò che non chiede a gran voce, ciò che non convince, ciò che non accondiscende, ciò che non spiega è irresistibile.
Maeve Brennan divenne la quarta moglie di St Clair McKelway, un donnaiolo con scarse probabilità di ravvedimento; si separarono dopo non molto. Fu quando ritornò a vivere da sola che Maeve scrisse alcuni dei suoi racconti migliori, compresi i primi contenuti ne Il principio dell’amore. Come dice lo stesso Maxwell, i suoi lavori migliori sono sempre, prima o dopo, ambientati in Irlanda e non comprendono personaggi che non siano irlandesi.
Si spostava di continuo, da un appartamento in affitto in città all’Hotel Algonquin, fino ad una casetta nel New Hampshire. Come facilmente intuibile, a lungo andare questi spostamenti la portarono a contrarre dei debiti. Impegnava alcuni dei suoi preziosi libri di autori irlandesi quando non trovava nessun altro modo di procurarsi denaro. Tornata in città, il New Yorker le offrì un posto dove stare quando avesse voluto, posto di cui lei usufruì, effettivamente, numerose volte. Nell’ultimo periodo cominciò a manifestare episodi psicotici ma tutti, seppur nervosamente, la tolleravano; anche quando si sistemò nella toilette delle signore della redazione, impedendo a chiunque di entrare perché l’aveva adibita a sua unica casa.
Negli ultimi dieci anni della sua vita entrò e uscì dalla realtà in un modo che spezzava il cuore a guardarla e che soltanto gli ospedali potevano affrontare.
Scrive Maxwell alla fine della sua introduzione. Ad essere sincera, dopo aver letto i suoi racconti queste parole spezzano il cuore anche a me. Nei racconti di Maeve ho trovato una fredda, spietata lucidità, a volte talmente tagliente da fare male. La Brennan parla di matrimoni infelici ma infelici in un modo così ordinario, senza sussulti né tragedie, da farli diventare soffocanti, e lo fa con una penna eccezionale.
In casa la situazione era innaturale, nessuno teneva realmente in considerazione gli altri. […] Erano tutte molto più felici quando lui non c’era, e non era giusto.
Mi sembra quasi di ritrovare, seppur in un contesto diverso, quella quiete nella non–speranza di cui parlava Elio Vittorini in Conversazioni in Sicilia. Tutti i protagonisti dei racconti sono rassegnati, schiacciati dal peso delle loro scelte che dopo anni sembrano completamente sbagliate eppure irreversibili e si trascinano giorno dopo giorno aggrappati alle loro ossessioni, a riti quotidiani così insignificanti ma che ormai sono diventati il loro mondo.
Rose, protagonista dei primi racconti, ragazza ingenua che mi ha fatto stringere il cuore, sposa un ragazzo che non conosce quasi per nulla; Delia, che dopo aver perso un primo figlio a tre giorni dalla nascita non si è più ripresa, diventando svagata, inconcludente. Incastrata tra un marito che non dorme più con lei e le due figlie che le impediscono di cadere del tutto vittima delle sue ossessioni, vive un momento di felicità quando un vescovo in pensione viene a prendere il tè in casa sua. Mogli e mariti intrappolati in relazioni sbiadite, sciupati dalla vita che loro stessi si sono costruiti. No, non sono racconti d’amore quelli di Maeve Brennan, quanto al contrario, sono storie di disamore, alla ricerca di una felicità che sembra del tutto irraggiungibile.
Maeve Brennan non dà speranze, non offre alcuna via d’uscita perché vie d’uscita non ce ne sono. Mi sono affezionata sia ai personaggi nati dalla sua mente, sia a questa donna minuta, elegante, che faceva girare tutta la redazione del New Yorker quando sentivano il ticchettio dei suoi passi sul pavimento, che con la sua voce si è imposta nella storia del racconto breve.
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